Danni non solo economici, anche danni irreparabili alla vita delle persone. Non dimentichiamo che molti di questi eventi purtroppo generano vittime. Quelle dell’alluvione in Romagna nel maggio 2023 sono state “soltanto” una quindicina, grazie alle previsioni meteorologiche, ma potevano essere dieci volte tanto. E ogni ondata di calore si porta via soltanto in Italia almeno 10.000 persone; lo sappiamo da quelle precedenti, in particolare l’estate del 2022, le cui statistiche sono uscite qualche mese fa, ha generato 61.000 vittime di colpo di calore in Europa di cui 18.000 in Italia.
Poi ci sono i danni di quelli che invece hanno subito perdite materiali molto invasive, per esempio le grandinate terribili che ci sono state in Friuli hanno portato molte famiglie ad avere la casa letteralmente distrutta, con costi di riparazione tra tetti e automobili di parecchie decine di migliaia di euro. È sempre anche una ferita psicologica profonda vedere violata la propria integrità, per esempio perché ti è entrata l’acqua in casa e ti ha distrutto tutto: mobili, libri, ricordi. E per chi fa mestieri esposti alle intemperie, pensa a tutto il comparto agricolo, non è bello vedersi distruggere il frutto del lavoro di un anno, anche se sei assicurato. C’è un complesso di perdite di ogni genere, dall’economico all’effettivo, che un evento estremo genera sulla popolazione. Se tutte queste cose capitano una volta ogni 100 anni sono tollerabili, è sempre successo, ti riprendi, grazie alla solidarietà delle persone ricostruisci, diventa un brutto ricordo. Ma quando queste batoste le hai una volta all’anno non ti riprendi più. Ho visto cronache di aziende agricole che sono state allagate dall’alluvione in Romagna e distrutte dalle grandinate successive, è difficile rialzare la testa quando appena la rialzi arriva un’altra bastonata.
C’è sempre un costo da pagare per l’adattamento, quindi io che ritengo che la mitigazione sia ancora importante quantomeno per tenerci più in basso possibile sull’aumento di temperatura. Antonio Guterres, segretario generale dell’Onu, ha detto che ogni frazione di grado conta. Più la febbre sale più comunque i sintomi saranno gravi, se a 1,5° probabilmente non ce la facciamo e se continuiamo così non ce la facciamo neanche con 2°, in ogni caso qualsiasi strategia volta a diminuire le emissioni anche se tardiva è necessaria. Teniamo sempre di investire sulla mitigazione però nel frattempo purtroppo dovremmo sempre più occuparci anche di adattamento.
Non è sempre vero, ce l’ha lunghissimo quando gli conviene, per esempio con il progetto del ponte sullo Stretto che costerà miliardi per molte decine di anni. Chissà come mai su certe opere dove i soldi corrono a miliardi lo sguardo diventa lunghissimo e invece su altre strategie importanti per la qualità della vita delle persone e delle generazioni future, che però non portano un interesse immediato, allora improvvisamente lo sguardo si fa corto. Da questo punto di vista c’è il tema proprio del consenso: se le persone non sentono la minaccia climatica come un problema importante e urgente, è ovvio che la politica corre via a gambe levate da questo tema perché non gli procurerà consenso. È ciò che sta succedendo in quasi tutti i paesi del mondo, lo vediamo dal fatto che esistono dei partiti verdi o ambientalisti ma sono sempre marginali.
Il tema ambientale è proprio antropologicamente rimosso, è qualcosa che alle persone non piace, pochissimi fanno un investimento profondo sulle loro vite pensando a quello che potrebbe essere il danno climatico e ambientale e questo fa sì che non ci sia una politica che cavalchi questo tema. Anzi oggi si cavalca il contrario, si cerca di demonizzare la scienza dell’ambiente. Ribadisco: scienza, non ambientalismo, non ideologia. La scienza dell’ambiente ti renderà la vita più difficile, dovrai pagare più tasse, dovrai fare delle rinunce, quindi è meglio il contrario, è meglio dire non c’è un problema ambientale e avanti tutta. Meglio saccheggiare la natura e avere tutto subito che occuparsi del futuro, nel futuro qualcun altro risolverà il problema o se non lo risolverà saranno affaracci suoi.
Tema rimosso anche linguisticamente. Da un lato c’è l’allarmismo, dall’altro la saturazione. Green, sostenibilità, sono parole abusate e svuotate. Come si fa a rendere interessante e centrale un tema dal quale dipende il futuro di tutti?
Bisogna convincersi che ci sono cose che non possono essere attraenti, sexy.
Qualcosa di positivo ci sarà nella transizione ecologica ed energetica che abbiamo davanti, però sarà comunque una sfida gigantesca. Gli svantaggi e lo sforzo da fare saranno superiori ai benefici immediati, in nome del beneficio superiore della vivibilità del pianeta per le generazioni future. Se ti ammali e devi fare una cura non c’è niente di sexy, fa tutto schifo, la terapia fa schifo, però cerchi di farlo perché sai che la posta in gioco è grande. Vale anche per la questione climatica: perché dover cercare a tutti i costi di indorare una caramella che non è una caramella, è una schifezza ma la devi mandare giù per guarire.
Il paragone con la salute personale è perfetto, tranne che abbiamo imparato a non dire più “la brutta malattia” invece di cancro, mentre invece dicevamo “tutte le estati sono calde” e continuiamo a dirlo. Spostiamo il problema più in là.
È qualcosa di spostato dalla tua immediata percezione, però sta cominciando a entrare nelle nostre case: il fango in Romagna, la siccità, la grandine, la tempesta che devasta Milano, ancora fortunatamente a macchia di leopardo ma in tanti stanno cominciando a fare esperienza di questa patologia. Non c’è nessuno che sappia qual è il linguaggio giusto, neanche gli psicologi, in questo momento dopo lo stiamo cercando di individuare ma nessuno lo ha trovato finora. La cosa importante che sappiamo è che si può sconfiggere l’eco-ansia con l’eco-azione. Non voglio affatto sminuire la diagnosi, che è terribile, ma siccome la cura c’è è bene sapere che è possibile non essere sopraffatti dall’ansia e uscirne con l’azione, individuale e collettiva.
Malattia, cura. Le parole per dirlo forse sono proprio queste.
È come se a un medico che fa una buona diagnosi e propone una cura, la persona dice: va là sono tutte balle, io sto benissimo e la cura non la faccio la faccio perché è fastidiosa, perché la medicina è amara, perché voglio godermi la vita da oggi e domani chi se ne frega.
Sono più di trent’anni che io lavoro in questo settore ma ci sono molti miei colleghi che sono stati i miei maestri e lo facevano già nei trent’anni precedenti. È dagli anni Sessanta o Settanta che i dati scientifici sono pienamente maturi e permettono una strategia globale per evitare il collasso ecosistemico. Invece niente da fare, non sembra che questo messaggio piaccia. Neanche quando lo portano avanti leader di enorme autorevolezza. Penso a Papa Francesco con l’enciclica Laudato sì , praticamente ignorata anche se arriva da un pontefice che tra l’altro ha fatto un passo estremamente innovativo parlando di scienza. Penso agli appelli del segretario generale delle Nazioni unite Guterres. Direi che c’è proprio un bias psicologico dell’umanità che messa di fronte a un grande rischio futuro preferisce ignorarlo invece che assumersi delle responsabilità. Questo però costerà caro perché non c’è una seconda possibilità. Anche queste parole, “non c’è una seconda possibilità, le abbiamo dette noi ricercatori ma anche il presidente Mattarella quando dal Kenya ha detto che è pernicioso mettere davanti l’economia all’ambiente perché non ci sarà una seconda possibilità. Non tutto si aggiusta, se rompi il pianeta non lo aggiusti più o soltanto in tempi lunghissimi, in tempi geologici. Che non riguarderanno più l’umanità.
Luca Mercalli, climatologo, presiede la Società Meteorologica Italiana. Ha studiato Scienze agrarie e Agrometeorologia all’Università di Torino e Scienze della montagna all’Université de Savoie. È stato docente di climatologia e sostenibilità ambientale per la Scuola “Ferdinando Rossi” dell’Università di Torino e per l’Università di Scienze gastronomiche di Pollenzo. Dirige la rivista Nimbus e ha condotto oltre 2.700 conferenze; è editorialista per Il Fatto Quotidiano e divulgatore RAI. È membro dell’Accademia di Agricoltura di Torino. Tra i suoi libri: Il clima che cambia (Rizzoli), Non c’è più tempo (Einaudi), Prepariamoci (Chiarelettere), Salire in montagna (Einaudi).
Abita in Val di Susa in una casa a energia solare, con cisterna di raccolta dell’acqua piovana, orto e auto elettrica, impegnato ogni giorno nella riduzione della propria impronta ecologica.