Negli ultimi anni il tema della sostenibilità è diventato pervasivo: onnipresente nelle comunicazioni pubblicitarie e nelle strategie aziendali, trasformandosi, però, in un elemento intangibile e per certi versi confuso. Se da una parte questa accresciuta attenzione è positiva, perché testimonia una maggiore consapevolezza circa l’urgenza di un cambio di paradigma riguardo alle modalità di produzione dei beni e all’approccio al consumo, dall’altra desta preoccupazione il fatto che il tema della sostenibilità sia diventato una pura scelta narrativa o, per dirla in altri termini, un esercizio di greenwashing. Anche Papa Francesco nella sua Lettera Enciclica Laudato Si’ ci mette in guardia da una crescente “ecologia superficiale o apparente che consolida un certo intorpidimento e una spensierata irresponsabilità. […] Questo comportamento evasivo ci serve per mantenere i nostri stili di vita, di produzione e di consumo”.
Anche nel settore agroalimentare si è assistito ad una rincorsa al posizionamento green che rischia paradossalmente di danneggiare in termini di credibilità agli occhi del consumatore chi sostenibile lo è davvero. Se tutti possono definirsi “sostenibili” (termine ormai abusato anche nelle pubblicità), come si fa a riconoscere chi lo è davvero? E soprattutto: cosa è sostenibile?
La definizione di sostenibilità è senz’altro una questione complessa che richiede un approccio multidisciplinare. La parola sostenibilità deriva dal latino sustinere, che significa sostenere o sopportare. Entrambi i verbi evocano l’immagine del dio greco Atlante che teneva sulle proprie spalle il mondo. La raffigurazione mitologica restituisce un’impressione plastica di forza e di equilibrio che ben si adatta al termine di sostenibilità, definita proprio come un sistema in equilibrio e capace di autoregolarsi rispetto a fattori che possono alterarne la stabilità.
Nelle scienze ambientali ed economiche, la sostenibilità rappresenta la condizione di uno sviluppo in grado di assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri. La transizione ad un modello di sviluppo autenticamente sostenibile comporta necessariamente il superamento di quello attuale che si basa su un approccio settoriale che distingue la dimensione economica da quella ambientale e sociale. Per essere sostenibile, infatti, lo sviluppo deve considerare unitamente queste tre componenti imprescindibili.
Con il Green Deal la transizione ecologica è divenuta l’elemento caratterizzante del mandato della Commissione Europea targata Von der Leyen. L’obiettivo della strategia comunitaria di porre la sostenibilità al centro del modello di sviluppo europeo ha portato con sé una serie di atti giuridici finalizzati a definire il concetto stesso di attività sostenibile (in tal senso si muove il Regolamento 2020/852 sulla tassonomia per la finanza sostenibile), ad aumentare gli obblighi informativi delle aziende (Direttiva 2022/2464 sul reporting non finanziario), a ridurre i fenomeni di greenwashing e disciplinare l’utilizzo dei claim di sostenibilità (Direttiva 2024/825 sulla responsabilizzazione dei consumatori e Proposta di Direttiva Green claims, COM 2023/166).
Il tema della sostenibilità è tanto più significativo in agricoltura, un settore in cui il rapporto tra uomo e natura ha palesato, dopo la cosiddetta rivoluzione verde, tutti i suoi limiti. In questo ambito, con la strategia Farm to Fork del 2020, la Commissione Europea ha posto enfasi sulla necessità di riconciliare il sistema alimentare con i bisogni del pianeta e rispondere positivamente alle aspirazioni europee per un cibo sano, equo ed ecologico. Scopo dichiarato di questa strategia era rendere il sistema alimentare europeo uno standard globale di sostenibilità.
In agricoltura, il metodo biologico provvede alla produzione di beni alimentari e fornisce anche beni immateriali
Da questo punto di vista gli elementi proposti da Giuseppe Barbera nel suo Antropocene, agricoltura e paesaggio trovano sponda nel testo di Fritjof Capra Agricoltura e Cambiamento climatico. “Fortunatamente esiste un’alternativa all’agricoltura industriale”, spiega il filosofo, “l’agroecologia, un insieme di tecniche agricole basate su principi ecologici adottati in tutto il mondo. Grazie a queste tecniche, è possibile coltivare cibi sani in modo sostenibile, nel rispetto della biodiversità, delle comunità e dell’efficienza energetica.”
In questo ambito trova posto il metodo di produzione biologica, un sistema di produzione agricolo basato sull’interazione tra le migliori prassi in materia di ambiente ed azione per il clima, un alto livello di biodiversità, la salvaguardia delle risorse naturali e l’applicazione di criteri rigorosi in materia di benessere degli animali. La produzione biologica esplica pertanto una duplice funzione sociale, provvedendo, da un lato, alla produzione di beni alimentari e, dall’altro, fornendo beni immateriali che contribuiscono alla tutela dell’ambiente e allo sviluppo rurale. La definizione stessa dell’agricoltura biologica, così come riportata nel Regolamento comunitario che la disciplina, deve basarsi, quindi, su un approccio sistemico che fondi sulla complessità dei sistemi la sua resilienza, pena la perdita di significato oltre che della sua stessa capacità produttiva, come puntualmente evidenzia il professor Barbera.
Agronomo, è Agricultural Public Affairs, Impact & Sustainability Manager del Gruppo Aboca.